MOR Storia per le mie madri

Il quadro famigliare è macchiato, corrotto, offeso. Una mamma ben vestita e sempre truccata, un papà con un buon lavoro, due gemelli che vanno a scuola, il paesaggio pulito della Svezia. Ma ci sono altri abitanti in questa famiglia, che sono i sentimenti incontrollabili che vengono dal passato.

Ferite antiche, dolori non accolti, che ritorti e conservati dentro chi li ha vissuti si sono trasformati in mali oscuri, colpe verso di sé, rabbia verso gli altri. Fantasmi pieni di forza che governano le persone e i loro rapporti.

Il tema dell’eredità del male può esser trattato in tanti modi. Sara Garagnani, illustratrice e art director, classe ‘76, di Bologna, con il suo graphic novel MOR Storia per le mie madri, pubblicato ora da add editore (nella sua nuova e bella visual identity) sceglie di farlo con una narrazione che procede lenta e densa, per prendere parte alla quale non si può avere nessuna fretta ma sicuro molta resistenza a soffermarsi in luoghi e immagini che obbligano a scavare, piuttosto che andare avanti veloci, come quando facciamo scrolling su Instagram.

Perché la narrazione costruita da Garagnani, anche grazie alle illustrazioni, è fisica e psicologica insieme, e ha il pregio di farci assistere in prima linea alle forme e le dinamiche del corpo, rimettendole al centro della scena, anche se del corpo non si parla mai in modo esplicito. I personaggi di questo libro, dai bisnonni fino all’ultima voce narrante della piccola Sara, sono umanissimi, e navigano nudi e senza appigli dentro esperienze di mancanze di amore e loro inevitabili taglienti conseguenze, da quando sono bambini a quando diventano vecchi. Perché, appunto, il tema è quello della vittima che diventa carnefice, del carnefice che è stato vittima, in un circolo senza fine. Finché qualcuno quel dolore decide di guardarlo fino in fondo, di capirlo, ricostruirlo, e riesce a spezzare il maledetto passaggio della staffetta. Nel libro questo arduo compito lo svolgerà Sara.

Nell’opera di Garagnani la storia scorre di madre in figlia. MOR nella lingua svedese significa madre. Gli uomini (padri, nonni, fratelli) giocano un ruolo minore, di sfondo, sia nel processo di crescita del male sia in quello della guarigione, perché la capacità di andare fino in fondo, di sostenere certe prove, risulta essere una prerogativa tutta femminile.

Il libro inizia dentro la vita di famiglia di quella che sarà poi la mamma di Sara, Annette, che è una dei due gemelli che sperimentano una madre, Inger, iraconda. Mamma Inger prova un rifiuto profondo per la propria madre e ha un rapporto conflittuale anche con sua sorella. Mamma Inger nel tempo peggiorerà: il suo male, una rabbia non compresa e non controllata, si trasformerà in tormento, buio, depressione e alla fine una ipocondria bloccante.

I bambini assistono a tutto questo terrorizzati, cercando strategie di sopravvivenza:

“Diventavamo sempre più furbi, attenti, perspicaci..ma anche sempre più tristi”

“A volte sapevamo cose senza saperle”. 

“Per esempio che c’era una specie di segreto e che vederlo ci avrebbe distrutto tutti”

“Era la temperatura dell’assenza materna, che diventava la misura della nostra fiducia nel mondo”.

Quando Annette, figlia di Inger, cresce, si sposa e mette al mondo Sara, all’inizio la vediamo (nei disegni vivi dell’autrice) normale, serena, ma mai felice, con una serietà in volto che prelude a una tristezza che prima o poi uscirà fuori. Poi anche per lei, come per la mamma, prende vita il lento progredire del male oscuro.

Sara vive la vicenda della madre come una perdita dei riferimenti, senso di confusione, smarrimento. La bambina però vuole di capire, perché intuisce che se non affronterà tutto questo, poi si ripeterà anche in lei. Quindi non si volta dall’altra parte, capisce che deve tornare indietro, ricostruire tutta la linea genealogica materna, nella quale scoprirà che ogni carnefice è stato anche vittima. E decide di portare con sé, in questo viaggio, la sua mamma. Perché Sara capisce che tutto il male è causato dalla mancanza di amore, e con l’amore soltanto si può riparare. 

Garagnani ha costruito un graphic novel di più di 350 pagine che contiene un’integrazione di arte visiva, scienze psicologiche, letteratura di sentimenti e anche poesia, riuscendo a rendere racconto, narrazione, quello che è un percorso da manuale di psicoterapia. 

Ecco che le sequenze e parole tipiche della psicoanalisi diventano tentativi personali di trovare la salvezza. Le vicende, i pensieri e gli stati d’animo dei personaggi, sono messi in scena con illustrazioni che assumono tridimensionalità grazie alla sapiente scelta dei colori oltre che dei tratti grafici: buchi neri, zone grigie, atmosfere sanguigne, limbi dai colori indefinibili, per poi tornare alla luce. E la lingua si fa letterata e anche poetica quando giungono riflessioni e domande.

Annette quando era piccola si chiede:

Cosa voleva dire cambiare paese? Sarei cambiata anche io? 

Potevo non portare con me i lati brutti delle cose?

Una nuova lingua può riscrivere l’origine delle cose?2

Mentre Sara lavora per trovare le risposte alle sue domande:

Ho preso gli album di famiglia” e“ho sentito scendere un pianto da nord

Tutto questo sforzo, questo coraggio, ha portato una ricompensa a Sara, che in questo caso non è ricevere indietro qualcosa dagli altri, ma quell’immenso riscatto che sentiamo quando ci liberiamo dai nostri muri e riusciamo a perdonare, e di nuovo a dare, ad amare, perché, dice Sara:
tutto è un discorso d’amore”.

Questo articolo è stato pubblicato a firma di Valeria Cecilia su: agrifoglio.ilfoglio.it