Mia e la voragine, di Diana Ligorio

Mia e la voragine è il libro di esordio di Diana Ligorio, classe ’82, pubblicato da TerraRossa Edizioni, casa editrice attenta alla qualità e impegnata a valorizzare nuove forme stilistiche della scrittura.

Il romanzo di Ligorio è ricco di elementi narrativi che si innestano intorno alla storia centrale, tenuti bene insieme da un gioco abile di simboli e correlazioni. È un romanzo di trama ma anche di personaggi incisivi, dai caratteri particolari, dove il dramma è smorzato dalla grande ironia della voce narrante.

La storia centrale è quella del rapporto tra la protagonista, Mia, e sua mamma. 

Mia ci racconta in prima persona del loro trasferimento estivo a Dolina, paese originario della mamma, dove però non vanno a fare una vera vacanza, dato che la mamma di Mia, tale Alma Distante, di professione pediatra, in quei mesi continua a lavorare, anzi lavora con ancora più dedizione, zelo e senza orari, come se la sua fosse una missione verso quella gente che, secondo lei, non aveva l’opportunità di avere buoni medici durante il resto dell’anno.

Già il nome della mamma, Alma Distante, mette per inciso il personaggio che è: una donna tutto lavoro, ma non per un freddo piglio manageriale, ma per un’ossessione tutta divertente di “trovare diagnosi”. L’analisi diagnostica è di fatto l’unico modo con il quale la donna sa relazionarsi con la realtà e con gli altri esseri umani, compresa sua figlia, che tratta più o meno come una paziente. Invece di chiederle come sta, di posare su di lei gesti affettuosi, rivolgerle un ascolto attento e parole di tenerezza e sostegno, ovvero, per trasmetterle tutto questo, le dice: ascolta Mia, volevo chiederti una cosa, hai mai riscontrato in te stessa l’evidenza di tic motori o fonatori incostanti? Nonostante questo, Alma è un personaggio che, attraverso lo sguardo della figlia, non si fa mai odiare, è completamente amabile, divertente, buffo, e a tratti incute tenerezza.

Cosa fa Mia di fronte a una mamma così, piuttosto distratta e anaffettiva?

Mia non si abbatte, e fa molte cose. Ovviamente soffre, e non riesce a dichiararlo apertamente, non parla con la mamma dei suoi dispiaceri, ma parla con noi, dato che nella sua mente scorrono tutti i suoi ragionamenti, domande, interpretazioni, confessioni. La sofferenza di Mia è anche segnata (espressa) da un difetto fisico, una gamba che “non la segue”, si blocca, si impunta.

Ma Mia ha uno sguardo acuto sulle cose, salvifico per lei, perché le dà la forza di essere ironica (l’ironia caratterizza tutto il suo sguardo, anche quello su sé stessa).

Ecco che Mia osserva la voragine che sta vicino al paese, proprio di fronte casa sua, con terrore e attrazione insieme; Mia è l’unica che insegue e studia “la matta” del paese mentre raccatta tutti gli oggetti che la gente butta via per poi rimetterli insieme formando nuove figure di senso, e Mia capisce che quei gesti sono in fondo un modo per ricomporre le separazioni dolorose. Mia ha perso il papà e anche questo è un dolore condiviso con la madre solo attraverso il silenzio. Poi Mia è attratta dal ragazzo del paese, che all’inizio la deride per il suo difetto fisico, poi le si avvicina, ma lei non corre il rischio di essere compatita, e diffida, va avanti da sola, e decide di scendere fino al fondo della voragine, aiutata anche dalla gamba che ora invece che farsi trascinare, la trascina, corre.

Chi salverà Mia dalla voragine in cui si è cacciata? In fondo è una bambina, e qualcuno dovrà pure far l’adulto per lei.

Il finale è tutta una risalita, silenziosa, rischiosa, ma non più in solitaria. E la conclusione è con le lacrime, che sono di riso forse più che di pianto.

Articolo pubblicato a firma di Valeria Cecilia il 9 gennaio 2023 su https://agrifoglio.ilfoglio.it/agricultura/mia-e-la-voragine-di-diana-ligorio/